lunedì 6 giugno 2016

Ciliegie sotto aceto

Tempo di ciliegie, e c'è solo l'imbarazzo della scelta fra   i Duroni di Vignola, o  le Ferrovia e sul finire della stagione, le Altoatesine...
Alice aprirà la settimana dei frutti dell'estate per il Calendario del cibo
iniziativa della Associazione Italiana Food Blogger e in questa occasione ecco il mio piccolo contributo.

Tempo di ciliegie dicevo e magari qualcuno ha la fortuna di averne un albero nel giardino, come me un tempo.
C'era un grosso ciliegio nel cortile di quella vecchia casa di ringhiera di una Milano che non c'è quasi più. Il cortile dove sono praticamente cresciuta e dove passavo interminabili pomeriggi solitari.
Era una pianta di "graffioni", quelle ciliegie chiare,  rosse e gialle, dolcissime e sode, una particolare qualità piemontese che ora è difficile trovare sui banchi se non nelle zone di produzione.
Allora non lo sapevo, ma la Ciliegia di Pecetto  prende il nome appunto da Pecetto Torinese, la zona collinare vocata alla coltivazione, ed ha una storia antica.
Comunque, il mio albero stava su una specie di altana di terreno sul lato sinistro  del cortile, e i suoi lunghi rami andavano a finire sul tetto dell'autorimessa  che confinava con il muro di cinta. Una pianta che quando era fiorita era una meraviglia, riempiva di luce, allegria e bellezza quel cortile grigio e anonimo.
Ne produceva sempre moltissime per la mia felicità e quella di mio padre, che ne era ghiottissimo.
I rami bassi, quelli che potevo raggiungere, erano i miei. Allungavo la mano e mangiavo, mangiavo. Mia madre mi sgridava a volte, per paura delle indigestioni, ma come si fa a resistere alle ciliegie, soprattutto quando sono così dolci, profumate e succose come quelle?
Il resto della raccolta, nonostante i merli, la faceva mio padre, arrampicandosi sull'albero. Saliva con un grosso cesto, e raccoglieva.
Una quantità di ciliegie sempre abbondante, tanto che bastava quasi per tutte le famiglie che abitavano lì, anche dopo averne consegnate parecchi chili al dottor Colombo, il proprietario di tutto il caseggiato, il despota che imponeva sempre i suoi svariati diktat.
Uno di questi, quello che più odiavo, era che ai bambini della casa e agli inquilini in genere non era permesso  l'uso del cortile, quindi nemmeno avere i frutti di quello che vi cresceva. La deroga valeva solo per me e la mia famiglia, ma solo per il fatto che mia madre era la portiera. Ma mio padre, spirito libero e contestatore di natura, non ci si atteneva mai agli ordini del dottor Colombo.
Quella pianta era particolarmente generosa e ogni anno in questo periodo erano molti i chili da raccogliere ogni giorno.
Li mettevamo a disposizione di tutti perché altrimenti tutto quel ben di Dio sarebbe andato sprecato. Va bene fare marmellate, va bene fare anche scorpacciate di ciliegie, ma mica potevamo farcela i merli e noi, da soli, in quattro..
Così, ogni giorno, dopo la raccolta mattutina e dopo averne preso la nostra parte, il cesto era in bella vista su un davanzale all'inizio delle scale per cui chi ne voleva, ne prendeva... naturalmente sparivano a gran velocità...
Le ultime, quelle più dolci, mia madre le metteva sotto aceto secondo una ricetta della signora Baudini, l'inquilina del primo piano, originaria dell'Alto Adige. E d'inverno, quando ricomparivano sulla tavola,  era come ritrovare il profumo della primavera...
Credo che sarebbe contenta la signora Baudini se potesse vedere i miei vasetti ben allineati sullo scaffale in cantina e sono anche sicura che approverebbe le piccole  modifiche che ho fatto. Ho sostituito lo zucchero semolato che usava lei, con lo zucchero di canna, e  100 ml di aceto con del buon vino rosso per fare in modo che le ciliegie non diventino troppo aspre. In fondo sono passati solo 60 anni, qualche cambiamento ci voleva...















Ciliegie sott'aceto

500 g ciliegie ben sode e sane
400 ml di aceto di miele
100 ml vino rosso corposo 
100 g di zucchero di canna scuro
2 chiodi di garofano
1/4 di una stecca di cannella
1 cucchiaino di pepe nero in grani
un paio di piccoli rametti di timo 
una grattatina di noce moscata



Uso l'aceto di miele, trovo che la sua leggera nota dolce finale sia perfetta per questa preparazione, ma si può tranquillamente usare anche del buon aceto di mele, o un aceto non troppo aggressivo.
 
Pulite le ciliegie eliminando i piccioli, controllate che siano perfettamente sane, senza ammaccature o macchie scure, lavatele e asciugatele su di uno strofinaccio pulito e mettetele in un capiente vaso a chiusura ermetica o in un Bormioli. Aggiungete lo zucchero, mescolatele e lasciatele riposare una notte.
Non vanno denocciolate, o almeno, io non lo faccio.... il nocciolo conferisce ancora più sapore. Non è comodo, é vero, ma ne guadagna il gusto.
Versate l'aceto in una casseruola a fondo spesso, aggiungete i chiodi di garofano, la cannella e la noce moscata, il pepe e il timo e fate sobbollire 2 o 3 minuti . Togliete la casseruola dal fuoco e versate così com'è, caldo,  sulle  ciliegie. Unite anche il vino rosso.  Chiudete  ermeticamente il vaso e lasciatelo raffreddare completamente .
Non filtro l'aceto prima di versarlo perchè le spezie, nel tempo, cedono ancor più i loro profumi. Però voi fate come preferite.
Conservatele al riparo dalla  luce e in un luogo asciutto per almeno 2 mesi prima di assaggiarle, e resistete alla tentazione...
alla fine saranno ottime, croccanti e acidule, perfette per accompagnare un piatto di salumi, ma il meglio lo daranno insieme al bollito.
A me piacciono anche con le terrine di carne o con i paté.
Il liquido alla fine, non buttatelo, servirà per delle insalate un po' diverse, o per sfumare preparazioni a base di anatra, selvaggina, maiale e anche per piatti in agrodolce...




Provateci!



Per saperne di più:

La ciliegia di Pecetto: La coltivazione del ciliegio è stata introdotta nella Collina Torinese presumibilmente dagli antichi Romani nella loro colonia di Carreum Potentia.
Secondo storici locali, i Savoia regnanti a Torino e gli eremiti Camaldolesi dell'Eremo nei secoli XVII e XVIII contribuirono a diffonderlo nella zona di Pecetto; i primi come pastura e richiamo per gli uccelli per le loro cacce, mentre i secondi usavano le ciliegie per fare confetture, liquori (ratafià) e decotti con le foglie.
Nel secolo XIX la coltivazione del ciliegio era una produzione secondaria, ma importante per l'economia famigliare agricola nei comuni collinari prossimi alla città di Torino.
Le ciliegie avevano posto assieme a uova, animali di bassa corte, ortaggi e altra frutta nelle ceste, cavagne, che le massaie portavano in spalla al "mercato" di Torino oppure erano vendute ai negozianti che si ritrovavano al pomeriggio nella via Maestra di Pecetto all'ombra del bastione e della Chiesa dei Battù.
I ciliegi erano coltivati come tutori alle testate dei filari di vite e nei piccoli prati esistenti lungo i rii, in un paesaggio altrimenti tutto coperto da vigne.
Le piante secolari esistenti nella prima metà del '900 documentano le varietà allora coltivate:
tra le cirese (ciliegie tenerine o semplicemente ciliegie) la Viton-a, la Nejran-a (oggi ridotta a pochi soggetti), la Molan-a;
tra i grafion (duroni): il Grafion neir (oggi scomparso), il Grafion bianc
e poi la Griota.

la loro storia continua qui:

la ciliegia di Pecetto







4 commenti:

  1. Giovanna,ma che bel contributo! Per me è sempre molto piacevole leggere di ricordi di infanzia, mi sembra di conoscere meglio chi scrive e, al tempo stesso, mi permette di ricordare qualcosa della mia. Anche io avevo un cortile dove, per mia fortuna, potevo giocare liberamente e credo di averci consumato diverse paia di scarpe da piccola! Che peccato che oggi bambini non giochino quasi più all'aria aperta...
    Queste ciliegie sono interessantissime, soprattutto se penso di abbinarle a delle carni, mi hai davvero incuriosito. Grazie per le istruzioni accurate e le tue note. Sono certa che la signora Baudini ne sarebbe felice. Che bel modo di ricordare la persone...
    Grazie davvero per questo bel post,
    Alice

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  2. Chi non ha avuto un ciliegio nel giardino non sa quello che ha perso nella vita ! Anche noi avevamo uno, davanti alla scala che portava fino alla cucina ma faceva quelle ciliegie nerissime e grossissime, quelle che ti sporcavi in un nanosecondo e le dita divantavano nere...se poi gli schizzi finivano, come accadeva sempre, sul vestito o il collo della camicia, o sulla maglietta erano drammi ! ecco...potrei morire mangiandole senza neanche rendermi conto della fine :) Non ho mai sentito delle ciliegie sott'aceto: da noi si fanno nella grappa a parte altre preparazioni ma devono essere buonissime ! Con i formaggi penso...Complimenti per il tuo blog, è bellissimo !! peccato averlo scoperto solo adesso ma come si dice meglio tardi che mai...
    A presto !
    Marina

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  3. conosco quelle ciliegie, le aveva mia zia, in Friuli, il posto dove sono nata, le dita restavano macchiate per giorni!

    Grazie per essere passata e per le parole di stima.
    Un abbraccio e a presto!

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